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I Leoni di Sicilia (recensione)

Aggiornamento: 29 set 2020


Scritto da Stefania Auci, I Leoni di Sicilia è un romanzo storico a cavallo fra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, che percorre tre generazioni della famiglia Florio, i primi imprenditori della Sicilia.

Originari di Bagnara, in Calabria, la famiglia si trasferisce a Palermo in cerca di fortuna, dopo che un violento terremoto ha scosso la loro cittadina calabrese.

Una volta arrivati, apriranno un'aromateria, un negozio di spezie che esattamente come previsto svilupperà una notevole clientela, da qui l'inizio di una lenta ma costante ascesa che li porterà ad accumulare un principesco patrimonio e a diventare una delle famiglie più influenti della Sicilia. Oltre all'armateria, infatti, essi estendono i loro commerci al settore delle tonnare, e poi ancora in una vera e propria compagnia navale. Come stemma della loro impresa adotteranno l'immagine di un Leone ferito che si abbevera in un fiume lambito dalle radici di un albero curativo, da qui il titolo del libro che, per il quadro di insieme che intende esprimere, è estremamente azzeccato.

Ciononostante fra un progresso e l'altro riscontreranno innumerevoli problemi tanto nella loro vita pubblica quanto nella vita privata.

La loro ascesa economica si snoda fra screzi familiari più e meno gravi, amori travagliati e moti rivoluzionari contro la dinastia dei Borbone che vanno e vengono.

A questo proposito, per spiegare meglio la situazione politica, all'inizio di ogni capitolo con un'introduzione relativa ai fatti storici, chiara e concisa per poi ripassare alla narrazione vera e propria in cui i Florio affrontano l'atto pratico vero e proprio.

Di particolare interesse nel corso della storia sono le descrizioni di Palermo e altri luoghi che i protagonisti visitano nel corso della loro vita, dettagliate e soprattutto profondamente sentite dal loro punto di vista, in cui l'autrice predilige l'uso delle frasi nominali.

Tanto le figure maschili quanto quelle femminili sono analizzate con grande cura, delineandone i rispettivi ruoli che svolgono in società, o quantomeno ciò che la società si aspetta da loro.

Per esempio, Vincenzo Florio e suo zio Ignazio, pur godendo dei frutti del loro duro lavoro, sono profondamente frustrati, poiché per quanto si sforzino di apparire rispettabili si trovano respinti dall'alta società nobiliare che, seppur in decadenza, continua a considerarli degli insignificanti "portarobe", privi di titolo, il cui lavoro "puzza di sudore".

D'altra parte spiccano le figure di Giuseppina, madre di Vincenzo, e di Giulia Portalupi, la donna che egli ama. Entrambe hanno sacrificato le loro vite al focolare domestico e alle rispettive famiglie, l'una per la paura che nutre verso il marito, l'altra per l'amore profondo che prova per Vincenzo. E se da un lato Giuseppina diverrà sempre più acida e critica su tutto e tutti, dall'altro Giulia diverrà più risoluta e combattiva, pronta a dimostrare - esattamente come Vincenzo - che seppur di umili origini ella è in grado di farsi strada in società sopportando diverse angherie e correndo diversi rischi, tra cui quello di diventare un'amante mantenuta.

Sia uomini che donne affrontano, a modo loro, una vita difficile, gli uni come personaggi pubblici, le altre come personaggi domestici ugualmente importanti. Gli uomini sono protagonisti della vita sociale, mentre le donne sono sempre pronte a guardargli le spalle.

Raccontando la storia familiare dei Florio, tuttavia, non si intende decantare solo un'ascesa familiare, quello a cui l'autrice sembra voler mirare è di descrivere la mentalità della Sicilia, che probabilmente prevale tutt'ora. Sempre dominati fin dall'antichità, gli abitanti dell'isola non hanno mai fatto caso a chi li comandasse purché avessero sempre di che vivere. Infatti, tanto i Borbone quanto Garibaldi e il regno di Sardegna li hanno sfruttati a loro vantaggio, e costoro non hanno mai saputo ribellarsi, per quieto vivere e per mancanza di organizzazione. Sarà proprio Vincenzo a sintetizzare ciò che vede nella mentalità dei Siciliani con questa frase "Non importa chi ti governa se a cena hai il piatto vuoto".

Proverbio di un valore inestimabile, perché se ci si pensa bene questo è un atteggiamento che accomuna tutte le società.




1 kommentar


oscar2720
15. jul. 2020

Molto bello

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© Sarah Troullier 2020

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